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Incontro straordinario con Gastón Fournier-Facio

26 Gen 2011

In occasione del concerto serale dell’11 febbraio l’OPV propone un incontro con Gastón Fournier-Facio, Musicologo e Coordinatore Artistico del Teatro alla Scala, che terrà una conferenza multimediale su Das Lied von der Erde di Gustav Mahler e presenterà il libro Gustav Mahler. Il mio tempo verrà (Il Saggiatore, 2010). L’appuntamento è alle 18 all’Auditorium Pollini (via C. Cassan 17).

Pubblicato in occasione del 150 anniversario della nascita del compositore, Gustav Mahler. Il mio tempo verrà raccoglie scritti di autori provenienti dai più diversi ambiti culturali, in un arco di tempo che si estende per oltre un secolo. Grazie alle parole, tra gli altri, di Stefan Zweig, Bruno Walter, Theodor W. Adorno, Leonard Bernstein, Claudio Abbado, Daniel Barenboim, il lettore è accompagnato all’ascolto della musica mahleriana.

Gastón Fournier-Facio è nato in Costa Rica dove ha ottenuto un Master in Storia presso la locale università, ha proseguito gli studi musicali in Inghilterra, presso la University of Sussex, dove ha conseguito un Master in Musicologia. E’ stato Coordinatore Artistico presso prestigiose istituzioni lirico-sinfoniche italiane (Biennale di Venezia, Maggio Musicale Fiorentino, Accademia Nazionale di Santa Cecilia). Si è specializzato nella cultura Viennese a cavallo fra ‘800 e ‘900 e in particolare nella vita e nell’opera di Gustav Mahler. E’ il curatore del libro di Daniel Barenboim e Patrice Chéreau Dialoghi su Musica e Teatro. Tristano e Isotta (Feltrinelli, 2008).

Biglietti

  • INTERO € 20
  • RIDOTTO UNDER 35 € 20

I biglietti sono in vendita online su WEBtic e dal 15 marzo anche presso Gabbia Dischi (via Dante 8, Padova). Si precisa che i posti non sono numerati: la scelta del posto nella pianta risponde esclusivamente ad una esigenza di carattere tecnico e non è in alcun modo vincolante.


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‘Disco del mese’ per il Concerto di Brahms di Zehetmair

Tali sono i requisiti tecnici e le proporzioni sinfoniche del Concerto per violino di Brahms che pochi violinisti sceglierebbero di dirigere loro stessi il capolavoro. Non così Thomas Zehetmair. Com’è stato dimostrato nella sua trionfante esecuzione ai Proms nel luglio 2006, l’idea è tutto fuorché una trovata pubblicitaria, perché in questa registrazione finemente equilibrata Zehetmair evidenzia il forte rapporto del Concerto con la musica da camera di Brahms: l’interpretazione raggiunge un livello di intimità tra solista e orchestra che quasi non ha eguale. Il ‘tutti’ d’apertura fissa il tono per l’intero lavoro. Osservando l’indicazione ‘allegro non troppo’ di Brahms, il tempo è veloce e scorrevole, eppure riesce a cogliere molta più finezza, espressività e una più ampia gamma dinamica dell’approccio analogamente risoluto, ma piuttosto arido di Harnoncourt e l’Orchestra del Concertgebouw che accompagna Gidon Kremer su Warner Classics. Questa intensità è più che confermata quando Zehetmair si getta nella mischia con il suo primo ingresso del violino, con la Northern Sinfonia che risponde in modo assolutamente straordinario ai suoi passaggi contrastanti di vigorosa energia dinamica e tenero lirismo.
Nell’Adagio che segue Zehetmair stabilisce un tempo magnificamente fluido che concede alle frasi spazio sufficiente per respirare, e comunque conserva un autentico senso di dialogo creativo tra il violino e i fiati soli. Il Finale è prevedibilmente esuberante, con i ritmi puntati del secondo tema magnificamente evidenziati.
Contrariamente alla sua precedente registrazione del capolavoro, con la Cleveland Orchestra sotto la direzione di Christoph von Dohnányi (su Apex), Zehetmair sostituisce la consueta cadenza di Joachim alla fine del primo movimento con una di sua composizione. In certi ambienti questa decisione farà alzare senza dubbio le ciglia, ma appare completamente giustificata sulla base della spontaneità con cui il violinista presenta lo sviluppo abilmente elaborato del materiale tematico di Brahms.
L’abbinamento della Quarta Sinfonia di Schumann – qui eseguita nella sua versione originale del 1841 – è ugualmente interessante. Dopo la recente lettura di Thomas Dausgaard, nella sua straordinaria registrazione su BIS con l’Orchestra da Camera Svedese, Zehetmair conferma con forza che l’esecuzione della sinfonia con un organico strumentale ridotto porta ad una assi maggiore chiarezza di tessitura. Fatto più importante, né Dausgaard né Zehetmair raggiungono questa chiarezza a scapito di un alto livello di emozione viscerale, specialmente nei movimenti esterni. Forse Dausgaard lavora alle volte troppo duramente per cavare la massima attività febbrile da ciascuna battuta, mentre con Zehetmair ci sono alcune idiosincrasie interpretative, come il rallentamento prima della ripresa del materiale dello Scherzo, che sembra un po’ impacciato. Ma dovendo scegliere tra due esecuzioni ugualmente straordinarie, direi che la versione di Zehetmair è in vantaggio nel mantenere più a lungo termine il controllo strutturale e nel proiettare al massimo l’irresistibile forza dinamica della logica sinfonica di Schumann.

BBC Music, luglio 2007 – DISCO DEL MESE

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Interviste

Thomas Zehetmair: il violinista sul podio

25 Gen 2011

Non sembra il tipo che si accontenta facilmente. Thomas Zehetmair: dopo anni di violinismo ad altissimi livelli, dopo una discografia invidiabile e ricca di premi, dopo aver fondato un quartetto riconosciuto come uno dei più interessanti nel panorama internazionale, dopo aver tenuto a battesimo composizioni scritte appositamente per lui, dopo un’attività editoriale cresciuta costantemente, una laurea ad honorem consegnata dall’Accademia Musicale di Weimar, il violinista di Salisburgo si è cimentato in un’impresa più unica che rara: dirigere e allo stesso tempo suonare la parte solista del Concerto op.77 di Brahms. D’accordo, di direttori-strumentisti è pieno il circondario, ma la pagina brahmsiana, in termini di interplay tra i due elementi, non è proprio un concerto di Vivaldi o, perdonateci, di Mozart. Ci vuole un partner con cui intendersi a menadito. E Zehetmair questo partner sembra averlo trovato nella Northen Sinfonia. Il risultato giudicatelo voi, visto che è uscito un CD della Avie in cui sono documentati gli esiti di questi concerti (a Brahms è stata affiancata la Quarta di Schumann: qui Zehetmair si è però limitato a dirigere…)

Cosa l’ha spinta a suonare e dirigere contemporaneamente composizioni come il Concerto op. 77 di Brahms? Mancanza di fiducia nei direttori? Ovviamente sto scherzando, ma in ogni caso possiamo parlare di una sfida?

Beh, non c’è nessuna sfiducia o nessun tipo di sfida per come possiamo intenderlo nel senso comune del termine: il principale obiettivo è quello di avere una diretta e quindi più immediata comunicazione tra il solista e l’orchestra, senza nessun traduttore aggiunto!

Quali sono le difficoltà e quali sono invece le facilitazioni nell’avere un doppio ruolo in un brano così complesso e ricco?

Richiede moltissima energia e però, con i partners giusti, consente molta più libertà.

Ho trovato la sua interpretazione del concerto, nonostante l’indubbia vivacità profusa, piuttosto intima, con una qualità che potrei definire, forse un po’ forzatamente, cameristica. Sono in errore? E se no, ha cercato questa morbidezza di toni generali?

Nel concerto di Brahms troviamo una notevole quantità di dinamiche piuttosto leggere e in molti punti il dialogo tra violino e orchestra assume toni delicati, lievi. Certamente anche l’aspetto sinfonico è importante e ci sono comunque contrasti piuttosto marcati. Ma una grande opera in genere possiede sempre più aspetti su cui lavorare, e dà la possibilità di esaltarne l’uno piuttosto che l’altro.

Per quale motivo ha scelto di incidere la prima versione – quella del 1841 – della Sinfonia n. 4 di Schumann?

Amo entrambe le versioni. La seconda, dei primissimi anni Cinquanta, è una magistrale trascrizione e revisione dello stesso autore pensata secondo il proprio stile compositivo dell’epoca. La prima versione è, per mio conto, uno scintillante capolavoro pieno di fantasia e freschezza.

Come le accadde di considerare l’idea di poter fare il direttore d’orchestra? Considera il dirigere una normale prosecuzione della sua attività di strumentista?

Ormai dirigo da più di dieci anni e quest’attività è diventata una parte molto importante del mio fare musica. Suppongo sia la curiosità che mi abbia spinto a provare e lavorare sempre di più in tal senso, ma, dopotutto, non vedo una stretta separazione tra il dirigere, il suonare in un quartetto o esibirsi in qualità di solista. Bisogna solo pianificare con attenzione le energie.

Può parlarci del suo rapporto con la Northern Sinfonia? Com’è nato e su quali basi si sta sviluppando?

Nella Primavera del 2001 lavorai ad un progetto con loro e la cosa riuscì a meraviglia. Fu emozionante. Un anno più tardi divenni direttore musicale dell’orchestra, prendendo parte ad eccitanti progetti uno dopo l’altro: l’apertura della nuova sala da concerto [lo splendido complesso The Sage Gateshead, opera dell’architetto Norman Foster, ndr] con la Creazione di Haydn, un ciclo delle sinfonie di Schumann, due produzioni operistiche – Don Giovanni e Così fan tutte – concerti e tournées. È un’orchestra fantastica, dinamica, duttile, la migliore che si possa desiderare.

Al momento preferisce suonare il violino o dirigere?

Beh, come le dicevo prima, per me ora si tratta di due facce di una stessa medaglia, una cosa è fonte di ispirazione per l’altra.

Cosa le piace del Concerto di Stravinskij, una pagina che purtroppo non si ascolta molto frequentemente?

Tutto, lo trovo un lavoro straordinario, ben bilanciato e con una scrittura efficace, colmo di brio e di virtuosismo scintillante: è certamente uno dei capolavori del ventesimo secolo, accanto ai concerti per violino di Berg, Schönberg, Bartók e Holliger.

E invece cosa la affascina maggiormente della musica di Sibelius?

Sibelius è l’anello di congiunzione tra Romanticismo e musica moderna. La sua scrittura orchestrale, assai personale e talvolta molto scura, intensa, riesce ad essere piuttosto coinvolgente e talvolta a toccare profondamente le corde emotive dell’ascoltatore.

Intervista di Ennio Speranza, da Falstaff, Agosto 2008

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Applausi per Philipp von Steinaecker

24 Gen 2011

Vicenda tribolata quella del primo concerto del 2011 di Tempo d’orchestra, al teatro Sociale, ma terminata, come si suol dire, in gloria, con un aperto e meritato successo. Il concerto era quello dell’Orchestra di Padova e del Veneto, buona compagine già più volte ospite, in passato, della rassegna mantovana, prevista con la guida di Franklin ed il solista Cominati, ma soggetta dapprima alla sostituzione del direttore, divenuto il tedesco Philipp von Steinaecker, e poi anche a quella del ruolo del pianista, assegnato infine ad un altro italiano, Davide Cabassi, milanese, 35 anni, una carriera che ha ancora margini di espansione, con all’attivo un accesso alla finale del prestigioso Concorso americano van Cliburn nel 2005. Nonostante ciò non ne ha risentito più di tanto il programma che, sì ha perso le ‘Notti nei giardini di Spagna’ di Manuel de Falla, ma ha guadagnato la Suite orchestrale da ‘Carmen’ di Bizet, accattivante surrogato dell’opera. Il che ha mantenuto quasi intatto il filo originale che sottendeva l’impaginazione, con Francia e Spagna a tessere un disegno di reciproche influenze: un de Falla che si abbevera alle affilate sensibilità parigine (vi visse ben sette anni, a partire dal 1907) per dar vita poi al giocoso balletto ‘Il cappello a tre punte’, disseminato di spunti coloristici originali e moderni; ed un parigino di nascita come Bizet che, qualche decennio prima, va alla ricerca dell’esotico nella Spagna sanguigna dei gitani e delle corride, per ricrearne un quadro dalla suggestione magica, percorso da motivi, ritmi e atmosfere dal potere ipnotico. A lato (à coté, dovrebbe dirsi) il Ravel – ma guarda che coincidenza: era basco e dunque allungava lo sguardo sulla penisola iberica – di due opere davvero magistrali come il Concerto in sol per pianoforte e orchestra e ‘Ma mère l’Oye’, in qualche maniera il giorno e la notte di un compositore che sapeva reinventare la propria cifra caratteristica in un’orgia di dettagli, annodando citazione e favolosa creatività con superbo sapere.
Insomma, un programma magnifico e ben congegnato per il quale, a maggior felicità d’ascolto, si sono aggiunte le valenti prove di tutti gli interpreti: efficace e disciplinata l’orchestra, meglio di altre passate occasioni (e non è sfuggito che al leggio di spalla sedesse il nostro Paolo Ghidoni, cui spettava un compito notevolmente esposto e ben risolto); di spicco l’intervento di Cabassi, che del Concerto ha dato un’impronta estremamente contrastata, sia sul piano espressivo che su quello analitico, illuminando a giorno gli opposti con il vigore di una tecnica solidissima e ben calibrata nei propositi timbrici; ed infine notevolmente lavorata fino agli spunti più minuti, la guida di Philipp von Steinaecker, ricca di un senso profondo e ricercato come di un’emozione intelligente (anche se talora i tempi indulgevano ad una lentezza a rischio di sfilacciamento) e viva. Bella serata, molti applausi e due bis.

Gazzetta di Mantova, 20 gennaio 2011

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Incontro straordinario con Enzo Restagno

05 Gen 2011

In occasione del concerto del 13 gennaio l’OPV in collaborazione con la Feltrinelli propone un incontro straordinario con il Prof. Enzo Restagno, musicologo e direttore artistico del Festival MiTo Settembre Musica, che sarà a Padova per presentare il proprio libro Ravel e l’anima delle cose e introdurre all’ascolto del Concerto in sol di Maurice Ravel, in programma nel concerto serale (ore 20.15). L’appuntamento è alle 18 all’Auditorium Pollini (via C. Cassan 17).

La musica di Ravel è una delle massime espressioni di eleganza nell’arte dei suoni. La gentilezza e il portamento fanno di lui un perfetto dandy, ma la leggerezza ironica dei suoi atteggiamenti e della sua opera hanno sempre allontanato dalla sua figura ogni sospetto di fatica creativa e complessità interiore. Freddo cultore della perfezione secondo i detrattori, compositore di magnifica invenzione musicale per gli estimatori, Ravel nasconde in sé qualità che solo la musica, estranea a questo conflitto di opinioni, riesce a svelare. Assillato dal desiderio di dare voce all'”anima delle cose”, si inoltra con perfetta congenialità in un orizzonte che soltanto uno scrittore come Proust è stato in grado di allargare. Ed è quell’orizzonte che Enzo Restagno svela, grazie a uno studio durato più di vent’anni.
Ravel e l’anima delle cose (ed. Il Saggiatore, 2009)

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