Interviste

Intervista in esclusiva con Ronald Brautigam

26 Nov 2010

In occasione del debutto di Ronald Brautigam all’Auditorium Pollini di Padova con l’Orchestra di Padova e del Veneto abbiamo avuto un breve colloquio col Maestro, immediatamente prima del concerto.

Il Concerto Hob. XVIII/4, di Haydn, il “Konzertstück” op. 79 di Weber e il K. 491 di Mozart: a cosa si deve il particolare programma che ha scelto per questo concerto?

Il programma è stato concordato con il direttore artistico, Filippo Juvarra. Inizialmente, a dir la verità, avevo proposto Beethoven, ma l’Orchestra aveva già affrontato recentemente l’autore. Così alla fine ci siamo trovati d’accordo su Haydn, Mozart e Weber. Quello di Weber in particolare è un brano notevole, eppure poco eseguito.

Sembra comunque un programma ben in linea con quelli che sono i suoi trascorsi artistici.

Sì, ed inoltre devo dire di essere stato molto contento di prepararlo con un’orchestra i cui fiati hanno un’ampia esperienza nell’esecuzione su strumenti d’epoca. Mi sono sentito veramente a mio agio, ed ho potuto dunque permettermi di studiare un suono orchestrale che ricordasse quello di un ensemble di strumenti antichi, più “leggero”, in un certo senso.

Quindi, in veste di direttore, ha basato la sua lettura sulla ricerca di questo suono?

Sì, anche se naturalmente in Haydn il compito è stato facilitato: l’orchestra è ridotta ai soli archi, e dunque il tipo di sonorità che avevo in mente era più facile da afferrare. L’intervento dei fiati negli altri brani è invece stato controllato con attenzione, ed i musicisti hanno reso molto bene le mie intenzioni, anche se abbiamo lavorato con strumenti moderni.

Il pianoforte, questa sera, è uno strumento moderno…

Sì, ho avuto esperienze passate di concerti con orchestra in cui ho utilizzato il fortepiano. Tuttavia, il fortepiano pone problemi seri dal punto di vista del rapporto con l’orchestra. Il suono dello strumento è più debole, naturalmente. Per questa interpretazione, visto il lavoro che ho fatto con i fiati, cercherò tuttavia di realizzare con il pianoforte moderno delle sonorità appropriate.

Dunque il bilancio finale del suo lavoro con l’Orchestra di Padova e del Veneto è positivo?

Assolutamente sì, anche perché poi vi ho trovato dei musicisti che oltre ad avere profonda dedizione sono anche molto comprensivi. Io sono un pianista, non un direttore, e dunque talvolta mi è capitato di non essere del tutto chiaro nei miei attacchi. Ma i membri dell’orchestra hanno saputo comprendere, ed eventualmente correggere, le mie indicazioni.

Nel suo lavoro di studio filologico sull’epoca classica ha avuto modo anche di affrontare la ricostruzione di partiture: il recente disco uscito per BIS con il Concerto per pianoforte e orchestra WoO 4 di Beethoven ne è la migliore testimonianza. In che rapporto sta il lavoro filologico sulle fonti con la ricerca riguardante l’esecuzione e il suono dello strumento d’epoca?

Lo strumento è decisamente importante in questa ricerca, me esso non ne è il compimento. È solo una macchina che aiuta ad avvicinarsi al pensiero di un compositore. Sarebbe meglio anzi riuscire a dimenticarsi dello strumento, e concentrarsi sulla sonorità che si è andata ricostruendo nella propria mente. In questo modo, non sarebbe così importante eseguire su un fortepiano o su un pianoforte. Sono piuttosto flessibile, a questo proposito. L’importante è ricordarsi che, di base, la sonorità dell’epoca classica tendeva ad essere anche nelle composizioni con orchestra più “intima”, quasi cameristica.

Come si sposa questo tipo di approccio con le moderne necessità della sala di registrazione?

In effetti, le registrazioni pongono delle questioni non secondarie. È il tecnico del suono che comunque si fa carico di cogliere nella maniera migliore il bilanciamento fra pianoforte e orchestra, a volte anche cambiando quella che sarebbe la normale disposizione degli strumenti. Ad esempio, per il SACD BIS che uscirà in dicembre, con i concerti 9 e 12 di Mozart, si è deciso di disporre il pianoforte in modo tale da farmi dare le spalle all’orchestra, cosa che sarebbe impensabile in un concerto con il pubblico. Il fatto che si stia effettuando una registrazione non deve però far si che ci si ponga in maniera differente rispetto all’interpretazione. Personalmente, per ogni “take” io e i musicisti che collaborano con me cerchiamo sempre il miglior risultato possibile, non permettendoci di pensare “se ci sarà un errore potremo cominciare da capo”.

È coinvolto in qualche maniera nella post-produzione delle sue registrazioni?

Mi piacerebbe essere coinvolto, ma ho molti altri impegni, ed inoltre ho sempre lavorato con il medesimo produttore: so come lavora ed ho completa fiducia in lui. Inoltre, ritengo che sia un bene affidare a terzi questo tipo di incarico. Credo che io sarei troppo coinvolto, conoscendo bene le mie interpretazioni, e non sarei in grado di lavorare con obiettività. Mi concentrerei su dettagli che solo io sarei in grado di percepire.

Per quanto riguarda la definizione dei progetti discografici, invece, qual è il suo ruolo?

Ho avuto sempre un buon rapporto con le case discografiche, e dunque ho goduto di una certa libertà nel decidere che iniziative intraprendere. Mi viene in mente il caso delle mie registrazioni delle sonate di Mozart, e delle sue altre opere per pianoforte. Terminate quelle, mi è sembrato naturale proporre un’integrale dei concerti per pianoforte ed orchestra, che infatti sto portando avanti in questo periodo. Mi piace l’idea di registrare qualcosa di simile ad una biblioteca dei lavori di un compositore, a beneficio di quelle persone che, ad esempio, non hanno mai ascoltato una certa piccola bagatella di Beethoven che nessuno suona in concerto. Credo sia giusto, quando si affronta un autore, essere quanto più possibile completi.

Dunque in questo periodo sta lavorando su Mozart. Che cosa registrerà, prossimamente?

Sempre con la Kölner Akademie, diretta da Michael Alexander Willens, registrerò in dicembre i concerti K. 491 e K. 503.

È evidente una sua particolare predisposizione allo studio del classicismo. Come lo spiega?

Non saprei: forse una questione di carattere, forse sono una persona “classica”… Apprezzo la chiarezza delle composizioni classiche e al tempo stesso la possibilità di rompere gli equilibri all’interno delle strutture, come capita in certe sonate di Beethoven. E poi, a questo proposito, trovo la forma sonata eccezionalmente congeniale alla mia maniera d’intendere la musica. Credo sia la maniera migliore di scrivere. Se fossi stato un compositore, avrei voluto creare musica fatta secondo tale struttura.

E per quale motivo, invece, non si è ancora avvicinato all’interpretazione di Bach?

Bach è in realtà uno dei miei autori di riferimento, ma non posso che concepirlo suonato al clavicembalo, ed io non sono un clavicembalista. Col pianoforte, ma anche col fortepiano, alla musica si aggiungono dinamiche di cui non vi è bisogno. E queste dinamiche, a mio avviso, talvolta interferiscono con la struttura stessa della musica. Inoltre, personalmente ritengo che le migliori composizioni di Bach non siano quelle per tastiera, bensì quelle vocali, come la cantate o gli oratori. È in lavori come quelli che mi sembra di cogliere la vera essenza di questo artista.

Lei è stato anche professore all’Università di Bristol, a partire dal 2009. Che tipo di lezioni ha tenuto?

Il mio incarico è durato circa un anno, e si è svolto nell’ambito del dipartimento di Musicologia. Ho tenuto degli interventi riguardanti certi aspetti filologici dell’interpretazione, quali il fraseggio in Mozart ed il rapporto tra l’esecuzione al fortepiano e quella al pianoforte. È stata un’esperienza molto positiva, anche perché mi ha personalmente indotto a riflettere con maggiore attenzione su alcuni problemi pratici che stavo affrontando in quel periodo, proprio a riguardo del mio approccio a Mozart. Abbiamo discusso anche di Haydn, ad esempio a proposito della realizzazione delle legature nella sua scrittura pianistica. Si tratta di piccoli problemi che nello studio privato a volte non sono razionalizzati, ma vengono semplicemente risolti nell’esecuzione, senza riflettere magari sul perché di certe soluzioni. Tramite l’insegnamento, invece, ho trovato occasioni preziose per far chiarezza su alcune mie scelte. Se ne avessi il tempo, mi piacerebbe scrivere un articolo su quanto ho elaborato insegnando a Bristol. Forse, chissà, anche un libro.

Marco Bellano

Biglietti

  • INTERO € 20
  • RIDOTTO UNDER 35 € 20

I biglietti sono in vendita online su WEBtic e dal 15 marzo anche presso Gabbia Dischi (via Dante 8, Padova). Si precisa che i posti non sono numerati: la scelta del posto nella pianta risponde esclusivamente ad una esigenza di carattere tecnico e non è in alcun modo vincolante.


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