Interviste

Vladimir Ashkenazy: un ritratto

25 Gen 2010

Tra l’Orchestra di Padova e del Veneto e Vladimir Ashkenazy esiste ormai un solido rapporto artistico. Il concerto di gala a chiusura del Festival “Incontri in Terra di Siena” è stato solo l’esito più recente della collaborazione tra il Maestro russo e la formazione Veneta: nella Villa rinascimentale della Foce a Chianciano Terme, lo scorso 25 luglio, Ashkenazy ha proposto un programma novecentesco dalla fisionomia particolare, inaugurato da composizioni celebri quali la Sinfonia n. 1 op. 25 “Classica” di Sergej Prokofiev e “Verklärte Nacht” op. 4 di Arnold Schönberg, ma suggellato con un brano poco frequentato dalle stagioni concertistiche, scritto per un organico decisamente insolito: “Aubade”, di Francis Poulenc.

Maestro Ashkenazy, quali impressioni sta ricevendo da questa sua nuova collaborazione con l’Orchestra di Padova e del Veneto?

Ho sempre apprezzato molto lavorare con questi musicisti: hanno un’alta professionalità ed ottime qualità musicali, oltre ad essere persone cordiali e piacevoli.

Il programma che proporrà al Festival è decisamente particolare: Prokofief, Schönberg, e poi un raro brano di Francis Poulenc. Che ragioni la hanno portata a compiere questa selezione?

Il brano di Poulenc, in realtà, non ha alcuna relazione particolare con la prima parte del programma. Questo anche perché il Festival stesso favorisce la creazione di programmi inusuali: si è invitati a presentare ogni genere di musica che abbia motivi d’interesse. Aubade si suona molto di rado. Il pezzo originale è destinato ad una ballerina, accompagnata da un piccolo gruppo cameristico, di diciotto strumenti. La ballerina necessita di un paio di altre interpreti “di supporto”, che in realtà non danzano, ma si limitano a passare alla protagonista oggetti, ad esempio strisce di tessuto, mentre commentano l’azione scenica. Alla première, a Parigi, la parte pianistica fu suonata dallo stesso Poulenc, e la coreografia fu curata da George Balanchine. Quest’ultimo volle che a danzare fossero una donna ed un uomo: Poulenc per questo s’irritò molto, ma non poté opporsi a Balanchine. Noi proporremo dunque la versione originale, con una sola ballerina. È un brano affascinante, riguardante Diana, la dea della caccia. Non ha una storia in senso proprio, ma costruisce una serie di suggestioni: c’è una donna giovane e bella, che è anche una dea: ha dunque delle responsabilità. Mentre danza, delle persone si fanno avanti e le dicono: non puoi danzare, devi recarti nella foresta ed adempiere ai tuoi doveri. Così lei parte, e abbandona per sempre il mondo. È una storia triste, e in un certo senso ha a che fare con la nostra stessa esistenza. Dura solo venti minuti, ma credo sia importante che il pubblico possa conoscere quest’opera.

Essendo lei stesso pianista, oltre che direttore d’orchestra, come ha impostato la sua collaborazione con Pascal Rogé, che sarà tra gli interpreti di Aubade?

Pascal è un mio buon amico. Al tempo del suo debutto in pubblico (credo avesse sedici, o diciassette anni), ricevetti un messaggio in cui mi si chiedeva di ascoltare questo pianista francese, che dicevano avesse grande talento. Rogé venne a Londra e suonò per me: lo apprezzai moltissimo, aveva molte qualità musicali. Gli dissi che meritava di essere aiutato, ed oggi è riuscito a costruirsi un’ottima carriera. Spesso ho diretto brani in cui è stato solista.
Sono state molte le sue esperienze con orchestre italiane: a parte quella attuale, lei ha anche tenuto dei concerti a Roma alla fine della scorsa primavera, presso l’Accademia di Santa Cecilia.

Qual è la sua opinione sul la situazione attuale della musica e delle stagioni concertistiche in Italia?

Ho un ottimo rapporto con l’Italia, avendovi sempre trovato musicisti di solida preparazione. Negli scorsi tre anni, in particolare, sono tornato per tre volte a Roma come direttore d’orchestra. Con Padova, poi, la collaborazione è stata particolarmente estesa: abbiamo anche affrontato una tournée, arrivata sino in Giappone, ed abbiamo inoltre effettuato delle registrazioni. Quella di Padova e del Veneto è un’Orchestra di alta classe, non ho che commenti positivi.

Delle sue esperienze, oltre al pianismo e alla direzione d’orchestra, ha fatto parte anche un approccio alla composizione, con una sua versione orchestrale dei Quadri di un’esposizione di Modest Mussorgsky: crede che avrà occasione di dedicarsi ancora a simili attività in futuro?

In realtà, non sento di potermi definire “compositore”. Per orchestrare basta avere una buona conoscenza dell’orchestra sinfonica, conoscenza che ho sviluppato in tanti anni da direttore d’orchestra, portando a piena realizzazione un’inclinazione che ho sentito di avere sin da bambino. Certo, non sono un orchestratore abile come Ravel o Debussy, ma ho svolto il mio lavoro in una maniera molto precisa. Non ho cercato di orchestrare “bene”, ma cercando un “suono russo”, ovvero un suono denso, ricco di colore: credo alla fine di aver raggiunto il mio obiettivo. L’orchestrazione di Ravel è fantastica, ma forse troppo elegante per Mussorgsky. Mussorgsky raggiunge i suoi obiettivi essendo pesante, goffo: ho quindi cercato di avvicinarmi alla sua maniera di esprimersi.

Quali, secondo lei, sono stati gli artisti che maggiormente la hanno influenzata, sia come pianista che come direttore d’orchestra?

Difficile a dirsi. Dovrei fare moltissimi nomi. Sin da quando ero un adolescente capii, quasi irrazionalmente, che non si può essere influenzati da una sola fonte, ed in una sola direzione. Così, ho fatto quasi un motto dell’avere una mente aperta verso ogni tipo di manifestazione musicale. Rispondo a sollecitazioni che vanno da Bach a Shostakovich, e in mezzo vi è così tanto! Io sono soltanto un esecutore, e posso solo limitarmi a cogliere i suggerimenti lasciati da moltissimi talenti nei secoli passati. Sono sempre stato impressionato da chi ha il dono della creatività (alcuni compositori furono persino poeti), ma io non ho altra capacità che quella dell’esecuzione di opere altrui. È questo un livello artistico molto inferiore, a mio parere. Non si tratta di falsa modestia: credo sia semplicemente un punto di vista realistico. Certo, anche noi esecutori abbiamo qualche “dono” artistico, grazie al cielo. Ma a noi rimarrà sempre preclusa la comprensione del creare, di ciò che permise a Bach, a Brahms, a Rachmaninov, a Debussy, di scrivere le loro pagine. Il dono della creatività è forse il più grande al mondo. Lo paragono al talento di scoprire leggi celate nel mondo, consegnandole poi alla storia, come seppero fare Einstein o Newton. Posso dire di essere fortunato, però, poiché almeno sono in grado di capire una grande parte del repertorio musicale: da Bach a Shostakovich, come dicevo. So quali sono le differenze tra i loro stili, i contesti in cui scrissero, e so dunque in che modo possono “parlarci” nella maniera più proficua. Con questo, non voglio dire che ho successo in ogni mia interpretazione. Nessuno ha successo in tutto ciò che fa: quel che faccio è allora tentare, con tutte le mie forze, di capire tutto ciò verso il quale provo attrazione. Parlando invece di chi mi ha influenzato come esecutore, devo di nuovo dire che occorre considerare un campo molto vasto. Ho molti amici pianisti e direttori d’orchestra, e li ammiro molto. Maurizio Pollini, Alfred Brendel, Daniel Barenboim, Itzhak Perlman… Dovrei proseguire con l’elenco, e non vorrei dimenticarmi di menzionare nessuno, poiché ciascuno di loro porta alla musica qualcosa di unico. Da loro si impara certamente, anzi, di più: si “assorbe”. Non imito, tuttavia, perché ho il mio particolare punto di vista sulla musica. Siamo molto fortunati ad avere così tanti talenti nel mondo: altrimenti, le cose sarebbero così noiose!

Le sue collaborazioni con questi talenti sono avvenute anche nei territori della musica da camera. Prevede di affrontare ancora il repertorio cameristico, in futuro?

Non saprei. Ho già fatto molto in quell’ambito, e registrato molto. Ad esempio, tutte le sonate per violino di Beethoven, tutte quelle per violoncello, tutti i trii… Non ho certo suonato tutto ciò che esiste nel repertorio, ma ho affrontato veramente molte composizioni. Non posso certo lamentarmi. Attualmente, però, non pratico più la musica da camera per motivi di tempo. La direzione d’orchestra ormai mi impegna totalmente. Riesco tuttavia a trovare occasioni per suonare con mio figlio Vovka. Eseguiamo brani a due pianoforti: stiamo progettando un tour, e recentemente abbiamo registrato un CD per Decca, con brani di Debussy e Ravel per due pianoforti. Uscirà in agosto, credo che abbiamo fatto un buon lavoro. Il mio altro figlio, Dimitri, è invece un buon clarinettista. Spesso mi invita a suonare con lui, e a dirigere brani orchestrali in cui è solista.

Nonostante l’opera non sia uno dei principali ambiti artistici da lei frequentati, lei è attualmente impegnato in una registrazione dell’opera Monna Vanna di Rachmaninov. Cosa l’ha spinta ad intraprendere questo progetto?

Pur non avendo avuto molte occasioni di dirigere opere, apprezzo molto quel repertorio. È solo per motivi di tempo che non riesco a dedicarmi all’opera: non ho materialmente la possibilità di affrontare tutte le prove richieste per allestire uno spettacolo di tale genere. Anche per questo, ho in genere diretto esecuzioni di opere in forma di concerto, e non allestimenti effettivi. Forse in futuro capiteranno le circostanze giuste, e allora potrò dedicarmi ad un’opera in maniera piena. Parlando ora di Monna Vanna: Rachmaninov non ha lasciato molto al repertorio operistico, dal punto di vista quantitativo. Le sue sono opere brevi, ma non per questo trascurabili. La storia alla base di Monna Vanna è assolutamente vera, anche se è tratta da Maurice Maeterlinck: il dramma è basato su fatti storici. Monna Vanna fu, nel quindicesimo secolo, la moglie del pisano Guido, comandante della milizia impegnata a difendere la sua città dall’assedio delle truppe fiorentine. Guido apprese da suo padre che il nemico avrebbe cessato le ostilità solo se Vanna si fosse recata nell’accampamento fiorentino vestita solo di un mantello. La donna acconsentì. Rachmaninov fu molto colpito da questa vicenda, e si dedicò alla composizione con dedizione. Tuttavia, non completò mai il suo lavoro. Ad un certo momento gli giunse notizia di un problema di copyright: la storia era già stata assegnata ad un altro compositore, Henry Février. Ha lasciato dunque, a malincuore, solo degli abbozzi non orchestrati, scritti su pochi pentagrammi. L’opera non fu mai rappresentata. Io ho ottenuto il manoscritto relativo al primo atto, andando alla Library of Congress, a Washington. La musica è per solo pianoforte, dunque su due pentagrammi. È stata orchestrata da un direttore di origini russo-americane di nome Igor Buketov, e registrata per Chandos con la Icelandi Symphony Orchestra. Fu una buona registrazione, ma con un problema: il testo fu cantato in inglese, mentre avrebbe dovuto essere in russo. Sono riuscito fortunatamente ad ottenere il libretto originale, e durante lo scorso mese (giugno) ho provato un’esecuzione con l’Orchestra del Conservatorio di Mosca (un’orchestra decisamente notevole). Gli studenti sono stati eccellenti: abbiamo anche fatto un concerto pubblico, registrando inoltre tutte le prove. Con tre ore di registrazioni, abbiamo sostanzialmente dato forma all’intero primo atto dell’opera (dura solo quarantacinque minuti). Ho usato anche un’orchestrazione differente, opera di un compositore di San Pietroburgo di nome Berlov. Credo di preferire la sua versione a quella di Buketov, che pure era buona. Spero ora di poter trovare una persona che sappia completare l’opera. Credo che manchi solo un’ora di musica, comprendente secondo e terzo atto. Nel secondo atto, Monna Vanna si reca dal nemico, con il solo mantello indosso, ma non accade nulla. L’uomo le dice: ti amo da quando eri bambina, ed è per questo che ti ho fatto venire da me. La donna viene poi lasciata libera di tornare a Pisa, dove però incontra l’ostilità di suo marito, che la accusa di aver dormito con il nemico. Il nemico viene infine incarcerato, ma l’opera ha un lieto fine: Monna Vanna libera l’uomo, e parte con lui, lasciando la sua città. In realtà, penso di aver già trovato il compositore che potrebbe essere in grado di affrontare il completamento dell’opera. Per ora, visto che il lavoro non è ancora stato ufficialmente assegnato (ho parlato con lui solo due settimane fa), preferirei non fare il suo nome. Posso solo dire che è inglese, e che ha da sempre desiderato comporre come Rachmaninov, essendo naturalmente incline a scrivere nel suo stile. Se tutto andrà per il meglio, penso che tornerò al Conservatorio di Mosca per terminare il lavoro di registrazione e dare finalmente a Monna Vanna la sua forma definitiva.

Un altro suo progetto recente riguarda la registrazione delle Partite di Bach.

Sì, un progetto impegnativo. Ne ho registrate sinora tre, forse riuscirò a registrarne ancora due e mezza in agosto. Credo che il disco sarà pronto per dicembre, ed uscirà per Decca. Le Partite sono state una sfida. Occorre interpretarle in modo semplice, senza affettazione. Il lavoro, per me e i tecnici, è stato duro. Delle Partite conoscevo diverse registrazioni che non mi avevano soddisfatto appieno. Glenn Gould fu fantastico, naturalmente, ma anche così particolare, idiosincratico direi. Ascoltandolo, a volte si rimane stupiti, a volte viene da dire: io non avrei mai fatto una cosa del genere! Ma, non si può discutere: Glenn fu un genio. Ho avuto la fortuna di incontrarlo personalmente.

E quali sono state le sue impressioni?

Un uomo straordinario… anche se un poco bizzarro. Un genio, ripeto. Ho un bel ricordo di un pranzo con lui a Toronto: sapeva come mettere i suoi interlocutori a loro agio, era cordiale ed intelligente. Rammento che parlammo di pianoforti, e di come ottenere quell’assoluta chiarezza di suono che cercava nelle sue registrazioni. Gli feci una proposta: conosco un uomo in Svezia, dissi, che costruisce pianoforti. Forse ha lo strumento adatto a te. Va bene, mi rispose, fammi sapere. Due anni dopo ci incontrammo di nuovo, ed io avevo effettivamente trovato un pianoforte che, secondo me, avrebbe potuto incontrare il suo favore. Ma Glenn declinò gentilmente la mia offerta, e così non potei essergli d’aiuto. Era troppo legato allo Steinway che aveva personalmente messo a punto. Voleva una chiarezza assoluta nell’esecuzione, al limite della pedanteria: questo era perfetto per Bach, e magari anche per i classici, come Mozart, ma certo non avrebbe potuto ben adattarsi alla musica romantica. Ad ogni modo, non riesco ad immaginare registrazioni delle Variazioni Goldberg che possano superare le sue, ed in particolare la seconda.

Glenn Gould era famoso per il suo controllo attento di ogni fase delle operazioni di registrazione. Qual è, invece, il suo coinvolgimento nella lavorazione del disco seguente all’esecuzione?

Non mi capita di sedermi assieme ai tecnici. Però, durante le sessioni di registrazione, indico con accuratezza quali sono le esecuzioni che ritengo più riuscite, e se per qualche motivo poi mi accorgo che la registrazione finale è stata costruita in maniera errata, magari inserendo del materiale che avevo deciso di scartare, allora mi reco dal produttore e lo prego di correggere la svista. Quindi opero il mio controllo in due momenti distinti: subito dopo la registrazione, e quando mi viene inviato il disco con il primo montaggio del materiale. Nella maggior parte dei casi, in realtà, non si presenta alcun problema: ho la fortuna di lavorare con produttori molto professionali.

Quali sono i suoi prossimi progetti discografici, oltre a quanto ha già menzionato?

La situazione alla Decca, in questo momento, è delicata: è da poco stato nominato un nuovo responsabile per la musica classica, e non so che genere di attività discografiche voglia intraprendere con me. Con il responsabile precedente si era parlato di lavorare ulteriormente su Bach. Personalmente, mi piacerebbe affrontare ciò che mi manca per completare la registrazione integrale dell’opera pianistica di Rachmaninov. Ad esempio, non ho mai registrato le Variazioni su un tema di Chopin op. 22, o la prima Sonata. Di sicuro non sono tra le creazioni migliori di Rachmaninov, ma credo che potrei studiarle, per completare il mio lavoro. Penso che, nel caso, mi ci vorranno almeno un paio d’anni: sono un bel po’ di note da imparare! Assieme a questi, dovrei registrare anche pezzi brevi, alcuni dei quali senza numero di opus. Possiedo già gli spartiti di tutti. Uno di essi era conservato alla Library of Congress, in forma di abbozzo incompiuto. È un brano molto raro, registrato una sola volta sinora, da un pianista australiano. Non credo che lo farò pubblicare, il manoscritto non è in buone condizioni. Ma si può comprendere abbastanza bene di che si tratta. Non si può dire che sia un capolavoro, ma nel caso si presentasse l’occasione lo registrerei senz’altro. Amo molto Rachmaninov, ed ho già registrato tutta la sua musica orchestrale.

Per concludere, una domanda su un argomento che, in parte, si allontana da quanto è stato sinora toccato in questo colloquio. Alcuni film, più o meno recenti, hanno fatto uso di sue interpretazioni. In che maniera lei è stato coinvolto nella lavorazione di tali pellicole?

In realtà, spesso l’utilizzo di mie interpretazioni viene concordato direttamente tra i produttori dei film e le case discografiche, senza che io venga interpellato. C’è stato, però, un caso recente in cui sono stato coinvolto direttamente nella lavorazione di un film. Mi riferisco ad un film d’animazione giapponese, Piano no mori (The Piano Forest, Masayuki Kojima, 2007). I produttori mi hanno convocato ben prima che il film fosse ultimato. La storia mi piaceva, così ho accettato di collaborare. Ma ho anche fatto qualche appunto alla sceneggiatura. La bozza originale non era sempre del tutto appropriata, nell’affrontare il mondo del pianismo e della musica in generale. Ho dunque suggerito i necessari aggiustamenti, per rendere la narrazione più pertinente. I cambiamenti, dopo uno scambio d’opinioni con il regista, sono stati accettati. Purtroppo non ricordo esattamente quali furono le modifiche che suggerii. Credo tuttavia che il film, nella sua versione definitiva, dia una chiara idea di ciò che distingue il talento reale dalla pura immaginazione: un messaggio che mi è parso significativo.

Marco Bellano

Biglietti

  • INTERO € 20
  • RIDOTTO UNDER 35 € 20

I biglietti sono in vendita online su WEBtic e dal 15 marzo anche presso Gabbia Dischi (via Dante 8, Padova). Si precisa che i posti non sono numerati: la scelta del posto nella pianta risponde esclusivamente ad una esigenza di carattere tecnico e non è in alcun modo vincolante.


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